
La Cipriani Serramenti di Grassina, storica azienda del settore legno fondata nel 1920 come falegnameria, che ha sede in via di Campigliano, ha dichiarato fallimento. Una notizia che pesa per i lavoratori rimasti e per il tessuto produttivo di Firenze Sud. Secondo la Fillea Cgil non si tratta di una fatalità né di un inevitabile effetto del mercato. “È il risultato di scelte imprenditoriali sbagliate, accelerate e prive di visione, che hanno progressivamente smontato un patrimonio produttivo costruito in decenni di lavoro, competenze e qualità”, afferma Marta Tamara Terzi della Fillea Cgil.
Nel 2019 l’azienda contava oltre quaranta dipendenti, oggi ridotti a una quindicina. Il sindacato sottolinea come la gestione degli ultimi anni sia stata caratterizzata da assenza di investimenti sulle persone, mancanza di formazione, nessun piano industriale e nessun rinnovamento tecnologico. “Parliamo di un’imprenditoria sempre pronta a valorizzare la tradizione quando fa comodo, ma incapace di affrontare le trasformazioni del settore, lasciando i lavoratori senza strumenti e l’azienda senza futuro”, prosegue Terzi.
La crisi della Cipriani Serramenti, secondo la Fillea, si inserisce in un contesto più ampio che riguarda tutto il comparto del legno e del legno-arredo in Toscana, con imprese che investono sempre meno in competenze, perdita di manodopera qualificata, delocalizzazioni e progressiva erosione del valore artigianale.
La vicenda non arriva del tutto inattesa. Negli anni scorsi QuiAntella aveva seguito da vicino la vertenza che coinvolgeva l’azienda: nel 2019 il sindacato denunciò il divieto di tenere assemblee all’interno dello stabilimento, con prese di posizione pubbliche, presidi ai cancelli e richieste di intervento istituzionale. Quelle tensioni furono il segnale di un clima difficile e di una gestione contestata, già allora ritenuta problematica dalle organizzazioni dei lavoratori.
Oggi la Fillea Cgil ribadisce la propria posizione: “Non accettiamo la narrazione dell’inevitabilità. La responsabilità è di chi avrebbe dovuto investire e non l’ha fatto, di chi ha abbandonato i lavoratori e il futuro dell’impresa, di chi ha considerato il capitale umano un costo da tagliare invece che un valore da costruire”.

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